Oracoli corporali
in amari tempi di intollerabile paura

di Angela Madesani

 I rebus sono giochi per abili solutori di enigmistica. Chi è in grado di risolverli entra nella loro dinamica, negli intrecci, nei rapporti spazio-temporali determinanti per giungere al risultato. Una criptica vignetta si spiana in brevi frasi senza valore concettuale: la nonna tesse la tela, cammelli vagolanti nel deserto e così via. Sostantivi, aggettivi, articoli, preposizioni: nulla di più. Con Emanuele Magri la situazione è assai diversa. L’artista, è vero, entra a pieno nella dinamica dell’enigmistica, che ben conosce e diviene lui stesso creatore di rebus, ma lo scopo è totalmente diverso.

Le immagini, con le quali lavora, perlopiù fotografiche (1), da lui realizzate in tempi e luoghi diversi, sono giocose, gradevoli. Spesso ci troviamo di fronte a corpi nudi femminili: titolo della serie di lavori in mostra è Oracoli corporali (2).

Le soluzioni degli stessi non sono sempre facili da trovare, ma poco importa perché nella maggior parte dei casi è lui stesso a svelarcele insieme al rebus.

Non sono frasi casuali quanto pesanti considerazioni sul tempo in cui viviamo.

È questo un lavoro che auspica una partecipazione dello spettatore che diviene attore dell’opera. Lo spirito non è quello del gioco. Attraverso il rebus Magri riesce ad analizzare, a prendere in considerazione delle situazioni. A rebus risolto prende il via una seconda fase, quella puramente riflessiva della sua ricerca. Si tratta di essenziali aforismi che sottolineano il clima del tempo in cui ci è dato vivere: tempi amari. Il suo rapporto con la scrittura, con il linguaggio è intenso (3). Dietro un’immagine piacevole c’è il risvolto lapidario della medaglia, che va al cuore delle cose: tocchi l’argomento delicato.

Come non far correre il pensiero alle tristi cronache italiane dell’oggi: aver diversi ciarpami morali, ti spianerà la strada, far ingenerose illazioni, chi nasce dedito all’oro, esaltare nefandi valori, fama scellerata, loschi e nati mediocri, aver mire nefande? È un ritratto tragico e cinico al tempo stesso, in cui la bellezza è solo il punto di partenza. I riferimenti mi paiono chiari. Non sarà certo una risata a seppellirci, anche se, forse, sarebbe auspicabile.

Dietro la sola apparente leggerezza del gioco si cela la scelleratezza di un momento storico incerto, in cui a dominare è una paura diffusa, un bisogno di audience a tutti i costi, la mancanza pressoché totale di prospettive, di un progetto e di un sogno collettivo.

Il rebus è lo sbriciolamento della parola, che perde di senso. Anche qui si va oltre l’immediatezza della lettura. Si pensi al mondo della comunicazione pubblicitaria, in cui immagini accattivanti sono accompagnate da frasi scollate e prive di senso. Il codice linguistico e il codice iconografico sono indipendenti l’uno dall’altro. L’interesse non è nei confronti del gioco e della sua soluzione, come a Roy Lichtenstein non era certo il fumetto a interessare. Il medium è messaggio per citare le parole di uno dei nostri padri culturali, di cui quest’anno cade il centenario dalla nascita, Marshall McLuhan.

Nei lavori di Emanuele Magri, viaggiatore, incuriosito da mondi diversi, l’immagine veicola messaggi eterogenei di natura sociale, etica, filosofica e i corpi mettono in scena un testo particolarmente oneroso.

La sua opera è stata recentemente esposta nell’interessante mostra romana Ah che rebus (4). Qui il suo lavoro è una sorta di totem, collocato in mezzo alla sala espositiva: un’architettura del linguaggio. Lo spettatore deve compiere un’azione fisica oltre che mentale, per riuscire a cogliere l’opera nella sua completezza. In un tempo di velocità, di abituale distrazione di fronte a tutto, di consumo veloce delle cose, il suo è un tentativo di catturare lo spettatore e di imporgli, gentilmente, una breve, ma succosa pausa di riflessione.

Le sue riflessioni sono anche di natura esistenziale: una sorte fragile, come rose appassite, aver dura la vita. Si percepisce un senso sottile e profondo al tempo stesso di morte, di precarietà. Tutto è legato all’attimo, all’istante, in aperto contrasto con quanto ci è dato vedere.

«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!», così Dante nel Purgatorio, sono passati settecento anni, ma il discorso funziona ancora. Si tagliano i soldi per la cultura e i musei diventano affittacamere e Magri, pacato, come nel suo stile propone a soluzione di un rebus: chi usa le arti per fini negativi.

Angela Madesani

NOTE

(1) Si tratta di una messa in scena della fotografia nella sua accezione primaria.

(2) Ci sono Oracoli corporali di diverse forme: alcune rimandano al quadrato, altre sono mensole di misure diverse in cui le opere sono come dei piccoli paraventi. E quindi le strisce che sono come una parte soltanto progettuale della mostra. E quindi l’opera totem, come quella esposta a Palazzo Poli, a Roma.

(3) Emanuele Magri ha una formazione letteraria e per molti anni ha insegnato storia dell’arte.

(4) A cura di A.Sbrilli e A.De Pirro, Ah che rebus Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia, Istituto Nazionale per la Grafica, Palazzo Poli, Roma dicembre 2010-marzo 2011 (catalogo Mazzotta).

 

 

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